Perchè il paziente disfunzionale è difficile da diagnosticare

Quando parliamo di sintomo, inteso in termine più comune come dolore, dobbiamo fare una distinzione molto importante tra:

  • Dolore acuto 
  • Dolore cronico

Il dolore acuto insorge come tale (in modo acuto) ed é legato ad una causa quasi sempre identificabile, risponde bene al trattamento con farmaci  specifici e ha una durata breve.

Il dolore cronico ha un’insorgenza subdola e tende a peggiorare nel tempo. Inizialmente si ha una certa risposta ai farmaci anti-dolorifici che, però, in seguito perdono la loro efficacia.

Questo tipo di dolore sfocia quasi sempre in condizioni di stress che coinvolgono la sfera psico-affettiva, creando situazioni di ansia che spesso prendono il sopravvento sulla condizione iniziale, tanto da far rivolgere il trattamento più alla cura dei disturbi dell’ansia  che alla sintomatologia iniziale vera e propria.

Il paziente tende a perdere la speranza ed arriva a sviluppare forme di depressione, molto spesso anche queste trattate con farmaci.

Il dolore si può definire cronicizzato quando dura da più di 6 mesi.

Si dice, per l’appunto, che il dolore cronico é molto piu’ radicato nell’anima del paziente che nei propri tessuti.

Un errore che molto spesso viene fatto dalla classe medica è quello di colpevolizzare il paziente di fronte al fallimento del trattamento, asserendo che il dolore “c’è l’ha in testa” e che l’unica soluzione e’ quella della psicoterapia e della terapia psichiatrica, quest’ultima  identificata sempre con l’uso di psicofarmaci piu’ o meno “importanti”..

Secondo la nostra opinione, questo approccio con il paziente, oltre ad essere offensivo per lo stesso, esclude un elemento importante al trattamento, ovvero la “speranza” di poter guarire e quindi crea un’ulteriore stato depressivo.

Noi pensiamo che nessuno possa essere tanto pazzo da voler passare una vita a star male, limitando i propri rapporti sociali, psico-affettivi  e familiari, nonchè quelli delle altre persone con le quali si relaziona. E’ evidente che il “dolore” una persona “c’è l’ha in testa”; del resto come farebbe un individuo a percepirlo senza l’uso del cervello ?

Il nocciolo del problema stà per l’appunto nella percezione; questa è sempre una condizione soggettiva e va rapportata al grado di oggettività che ad essa si può associare.

Diventa pertanto fondamentale capire se esiste uno stato di percezione alterato e quale puo’ essere stata la causa che ha portato a ciò.

Dolore cronico: un ciclo vizioso

Il ciclo vizioso che comporta l’instaurarsi della sindrome disfunzionale puo’ avere origini diverse.

Generalmente il sintomo inizia coinvolgendo aree del viso, della testa, il collo, le spalle. La causa è spesso dovuta a posizioni occupazionali o comportamentali  sbagliate (dal modo di lavorare, al modo di dormire) e ripetitive, oppure a parafunzioni, quali il serrare o il digrignare i denti.

Queste abitudini comportano un aumento del tono muscolare e quindi alterazione della micro circolazione del muscolo. Il risultato di ciò è una povera ossigenazione del tessuto muscolare a cui consegue la liberazione di sostanze dolorifiche da parte dello stesso.

Questa situazione, se persiste nel tempo, determina micro necrosi all’interno del muscolo e il tessuto muscolare che “muore” viene sostituito da tessuto fibroso cicatriziale. Più questo fenomeno perdura, più il muscolo viene degenerato con conseguente suo accorciamento e quindi perdita di elasticità.

Il paziente, per non sentire dolore, inconsciamente assume una posizione definita “antalgica” (antidolore) e che determina un’ulteriore accorciamento del muscolo. Il momento più critico si verifica quando bisogna fare dei movimenti che comportano l’allungamento del muscolo o dei muscoli che erano  interessati dall’accorciamento.

Questa condizione scatena maggiormente il dolore e condiziona il paziente a non fare più, oppure a limitare molto, quel particolare movimento.

Come conseguenza, si crea un ciclo vizioso perchè, per limitare il dolore, il paziente tende sempre di piu’ a diminuire il range (quantità) di movimento.

Ci sono aree, quali ad esempio la colonna vertebrale (in particolare nel lato cervicale), dove il controllo dei movimenti cosidetti fini viene fatta da una moltitudine di piccoli muscoli. Questi muscoli, proprio per la loro esile struttura, vanno incontro ad uno stato di fibrosi  a cui consegue la perdita dei movimenti fini tra le vertebre, ed in particolare, del meccanismo di ammortizzazione intervertebrale (quando camminiamo, o facciamo un qualsiasi movimento, il peso del nostro corpo viene scaricato sullo scheletro ed in particolare sulla colonna vertebrale e sulle articolazioni. I piccoli muscoli che avvolgono la colonna, inserendosi tra una vertebra e l’altra in vario modo, verticale e crociato, durante il movimento del corpo si contraggono in modo sincronizzato e organizzato, creando un meccanismo di ammortizzazione del peso tra le vertebre per limitare lo schiacciamento che si verrebbe a determinare tra i dischi intervertebrali).

Questa figura rappresenta solo i primi tre strati profondi della muscolatura che compone il sistema di supporto e ammortizzazione  della colonna vertebrale. Da ricordare che i muscoli piu’ piccoli sono quelli che per primi subiscono fenomeni degenerativi.

Questa figura rappresenta solo i primi tre strati profondi della muscolatura che compone il sistema di supporto e ammortizzazione della colonna vertebrale. Da ricordare che i muscoli piu’ piccoli sono quelli che per primi subiscono fenomeni degenerativi.

Quando questi piccoli muscoli subiscono una degenerazione, e quindi si trasformano in tessuto fibroso, il meccanismo di ammortizzazione viene ad essere inefficace. Come compenso, il sistema neuromuscolare recluta i muscoli piu “grossi” e superficiali per adempiere a tale compito; questi ultimi, però, non sono in grado di coordinarsi nei movimenti fini in quanto non posseggono le caratteristiche anatomiche e funzionali adeguate. Il meccanismo che si instaura comporta, quindi, un aumento delle resistenze interne del sistema e ulteriore peggioramento sia dei sintomi che del range di movimento.

Un’altro aspetto importante da considerare e’ che la tensione muscolare non sempre è dovuta a cattiva postura o a parafuzioni. Molto spesso è dovuta a stati d’ansia.