Ortognatodonzia chirurgica
Quando parliamo di trattamento Ortodontico-chirurgico ci riferiamo al campo della chirurgia dell’area maxillo-facciale, ed in modo più specifico alla chirurgia ortognatodontica.
Che cosa significa chirurgia ortognatodontica?
La parola ortognatodonzia significa corretto equilibrio tra le strutture scheletriche della faccia, tra i denti e fra questi ultimi e lo scheletro.
La chirurgia ortognatodontica ha quindi il compito di armonizzare la componente scheletrica facciale, in modo tale che anche le arcate dentarie possano avere un corretto equilibrio strutturale e funzionale.
Comunque, parlare soltanto di equilibrio delle strutture scheletriche e dentali diventa riduttivo, in quanto ciò che consente ad esse di funzionare sono i muscoli, e precisamente il più complesso sistema neuro-muscolare.
La mascella e la mandibola devono avere un determinato rapporto tra loro nei tre piani dello spazio: verticale, sagittale e trasversale. Ovviamente il sistema presenta una certa tolleranza, però, quando le differenze di rapporto eccedono un valore di deviazione standard, l’apparato neuromuscolare non riesce più a lavorare in una condizione armonica. Il risultato di ciò si manifesta attraverso alterazione dei rapporti dentali, malocclusioni, disfunzioni legate alla postura della lingua e alla deglutizione, eccessiva tensione dei muscoli, cefalee, e altre condizioni patologiche più o meno importanti in funzione della capacità di adattamento del soggetto.
Queste problematiche, definite come disfunzionali, si autoalimentano, nel senso che danno vita ad un ciclo vizioso che nel tempo peggiora sempre di più sia la condizione scheletrica che funzionale.
E’ proprio necessario ricorrere alla chirurgia ortognatodontica?
Come per tutte le discipline mediche anche la chirurgia ortognatodontica ha subito un processo evolutivo. Molti anni fa i casi che avevano indicazione chirurgica erano principalmente quelli relativi alle dismorfosi cranio-facciali, alterazioni molto gravi dello scheletro e per la maggior parte legate a variazioni genetiche, ereditarie oppure acquisite.
In passato, a parte questo tipo di patologie, solo le cosiddette “terze classi” (eccessiva sporgenza della mandibola rispetto al mascellare) venivano proposte per il trattamento chirurgico e, a causa delle metodologie chirurgiche non ancora avanzate, ci potevano essere degli effetti collaterali, come la perdita di sensibilità a livello del labbro inferiore dovuta alla resezione del Nervo Mandibolare.
Con il tempo le tecniche chirurgiche si sono molto evolute e così pure i sistemi di diagnosi e di pianificazione del trattamento.
Tutto questo ha reso possibile oggi l’applicazione di procedure chirurgiche standard molto sicure e individualizzabili in base alle necessità terapeutiche del paziente.
Il trattamento ortodontico fine a sè stesso, cioè il riportare le arcate dentarie in un corretto equilibrio funzionale ed estetico, ha delle limitazioni dovute al tipo di rapporto esistente tra il mascellare superiore e la mandibola; quando questo si presenta alterato, oltre la deviazione standard di compenso funzionale, i muscoli non sono più in grado di lavorare in equilibrio ed iniziano ad esercitare trazioni e pressioni sulle strutture dento-alveolari (denti e tessuto osseo), dando origine alle più diverse malocclusioni.
Il cercare di correggerle solo ortodonticamente, quando i rapporti maxillo-mandibolari sono troppo alterati, significa estrema difficoltà o impossibilità di ottenere sia un risultato accettabile, che una stabilità del trattamento nel tempo.
Ancora oggi troppi trattamenti ortodontici vengono eseguiti in pazienti la cui struttura scheletrica maxillo-mandibolare non presenta i criteri di armonia per poter ottenere un risultato accettabile e duraturo nel tempo.
Il motivo deve essere ricercato non solo nella mancanza di informazione da parte del paziente, ma anche dei professionisti ortodontisti. Infatti, si tende molto spesso ad assecondare la volontà del paziente di essere trattato comunque (di primo acchito non è quasi mai favorevole ad una soluzione chirurgica!) sia per accondiscendenza che, qualche volta, per farlo entrare in cura, non consapevoli del potenziale fallimento a cui si va incontro.
Il risultato fallimentare verrà compreso da parte del paziente quando non vedrà prospettarsi una conclusione terapeutica, oppure a seguito della precoce recidiva del trattamento appena terminato.
Si può affermare pertanto un principio molto semplice e di carattere generale: non può esistere una buona funzione se manca un corretto equilibrio strutturale, e viceversa.
Oggi possediamo mezzi di diagnosi molto sofisticati per valutare la necessità di dover ricorrere ad un trattamento ortognatico-chirurgico. Quando gli studi diagnostici mettono in evidenza questa soluzione, il voler fare un trattamento diverso, per esempio la sola correzione ortodontica, significa aver già imboccato in partenza la strada del fallimento della terapia.
In questo caso, piuttosto che intraprendere un trattamento ortodontico è molto più conveniente per il paziente che egli rimanga nella sua condizione. Ci si può limitare, altresì, a fare degli interventi palliativi per cercare di proteggere alcune strutture, senza modificare l’ equilibrio che si è raggiunto negli anni, in attesa che il paziente prenda una decisione che rappresenti per lui un compromesso accettabile e valido.